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La purga ordinata dall’erede al trono saudita Mohammed bin Salman non ha precedenti nella pur breve storia del regno della Mecca e dei petrodollari: se per la commissione anti-corruzione creata all’istante «siamo solo all’inizio», non è esagerato definirla un colpo di Stato per azzerare l’establishment in grado ostacolare l’accentramento di tutti i poteri nelle mani di bin Salman.
Fino al blitz del 4 novembre contro undici principi e decine tra politici e businessman sarebbe stato impensabile vedere in manette Walid bin Talal, l’uomo più ricco dell’Arabia Saudita, nonché magnate della finanza globale con grosse partecipazioni in tutte le società che contano. Ma il 32enne bin Salman è un principe di rottura, un rottamatore. Non però verso la «modernità» e la «moderazione» che promette, anche se Riad, in linea con i tempi – e in pieno stile saudita – avrà presto il più giovane re al mondo dopo decenni di vecchi sovrani.
In Arabia Saudita non esiste un parlamento. La retata di bin Salman è scattata senza accuse formali né processi legali. Tutti i beni dei detenuti miliardari sono stati congelati e l’estromissione del principe Mutaib bin Abdullah, figlio del precedente re Abdullah, da capo della Guardia nazionale ha minato anche la ripartizione tra fazioni, “democratica” almeno secondo i parametri della numerosa dinastia al Saud, del controllo degli apparati dello Stato.
Con le tre forze di sicurezza (oltre alla Guardia nazionale, l’esercito e l’intelligence) in pugno, bin Salman sarà ancora più aggressivo: da ministro della Difesa ha sferrato i raid in Yemen che hanno provocato la grave crisi umanitaria del Paese, ha isolato il Qatar ed è nell’aria l’esplosione del Libano dopo le dimissioni (in funzione anti-iraniana) del premier filosaudita Saad Hariri durante una visita a Riad.
Dal 2018 il re in pectore permetterà alle donne di guidare e di entrare negli stadi, ma già bin Talal si era schierato prima di lui contro i tabù e su Donald Trump, strettissimo alleato di bin Salman, chiosava su Twitter in qualità di suo secondo azionista: «Una disgrazia per tutta l’America, non solo per i repubblicani». È finito in carcere.
[Foto in apertura di Jonathan Ernst / Getty Images]
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