► Dal numero di pagina99 in edicola dal 20 ottobre e in edizione digitale
Tra gennaio e luglio del 2017, sono spuntati in Italia un milione di nuovi posti di lavoro. Di questi, però, solo 27.218 sono a tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato, invece, sono 719.666. È con questi numeri in mente, e pochi soldi in tasca, che il governo ha impegnato una buona quota degli scarsi fondi disponibili di questa manovra a nuovi sgravi a favore del posto fisso per i giovani.
La speranza è replicare la fiammata del 2015 quando, grazie agli sgravi contributivi indiscriminati per età – e costosissimi – varati insieme al Jobs Act, il Paese aveva visto i contratti a tempo indeterminato balzare a 2,02 milioni. L’anno dopo, come era facile immaginare, il soufflé si era già sgonfiato e i tempi indeterminati erano crollati a 1,26 milioni contro 3,73 milioni di assunzioni a termine.
Questa volta, avendo a disposizione per il 2018 pochi spicci (338 milioni) che saliranno un poco negli anni a venire, il governo ha giustamente tagliato la misura sugli under 29 che usufruiranno di uno sgravio contributivo del 50% per tre anni (100% al Sud), platea allargata agli under 35 solo per un anno. Poi l’asticella dell’età scenderà. Una struttura un po’ barocca che racconta un rischio inevitabile: quello della guerra tra poveri che potrebbe mettere in un angolo gli “ex giovani” degli anni scorsi che prima si sono visti surclassare sul mercato del lavoro dai loro colleghi più anziani e ora rischiano di essere superati in curva dalle nuove leve, fiscalmente più appetibili.
Si dirà che non si poteva fare altrimenti, e in parte è vero se non si esce dalla logica dei bonus, delle misure una tantum, degli aggiustamenti in corsa. Varrebbe però la pena ricordare che, quando fu varato il Jobs Act, la promessa fatta alle giovani leve del Paese era diversa e si chiamava contratto unico a tutele crescenti. In sintesi: il nuovo contratto a tempo indeterminato sarebbe stato sì meno tutelato di quello precedente, ma allo stesso tempo si sarebbe cancellato il tempo determinato come “scalino” obbligato verso il posto fisso.
La prima misura è stata attuata, la seconda no. Così siamo ancora una volta alle soluzioni ponte, alla logica dei bonus e incentivi all’interno di una manovra che, dei 20 miliardi complessivi, ne deve impegnare oltre 15 per evitare l’aumento dell’Iva. D’altronde siamo già in clima pre-elettorale.
[Foto in apertura di Martino Lombezzi / Contrasto]
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